CENNO STORICO
DELL’OSPEDALE MAGGIORE della CARITA’ di NOVRA
capo primo
CENNO STORICO
DELL’OSPEDALE MAGGIORE della CARITA’ di NOVRA
capo primo
L’ ospedale della Carità nella sua origine
L’ Ospedale maggiore della carità di Novara è il più antico istituto della beneficenza de Novaresi,e per questo accenna antichissimo il germoglio dell’incivilimento loro.
Il sostentamento e la conservazione della umana famiglia,cui essi provvedevano coll’aver vivamente concorso a mantenere ed a trasmettere ai posteri si pio ricovero,tornano più gloriosi che le loro fazioni de sanguigni e de Rotondi,per le quali andarono bruttatidi tanto sangue cittadino:ma l’uomo è così fatto,che si loda più presto delle sue antiche ire,che delle antiche sue dolcezze dell’animo,perché l’idea della forza sente troppo dell’umano,
Si volle da taluno,che l’Ospedale della carità avesse sortito la sua origine nel mille; ed io tengo pel secolo dopo,giusta quelle vedute che espongo più avanti. Ma altri più precisi schiarimenti se ne avrebbero forse ove non fossero state recise le prime tredici pagine di quel libro di pergamena che conservasi nell’archivio dello Spedale stesso: e che vien citato dal Bascapè Vescovo di Novara nell’opera Novaria. A sostenere quella prima opinione non puossi far fondamento della pergamena dell’anno mille novantasette, che serbasi nell’archivio medesimo e che altri adduce come attestato dell’antica esistenza dell’Ospedale, essendo instrumento di vendita di certi prati, che per nulla lo riguardava, siccome contratto di terze persone; e che trovasi nelle carte del pio istituto per essere in possesso di tempo quei prati venuti nel patrimonio di questo.Ne miglior base darebbe a quella stessa opinione chi mostrasse la pergamena dell’Ospedale della Carità dalla quale rilevasi come questo ricevesse fin dall’anno mille trentasette una donazione di picciolo campo da certo Pietro Lombardo (che taluno scambiò pel Maestro delle sentenze), non avvertendo che questo morì l’anno mille cento sessanta quattro, quella data è ad ogni modo falsa, sia perché l’atto della donazione è ricevuto dal notaio Uberto Cazulo figlio di Giovanni Battaglia; dal quale Notaio trovansi ricevuti gli instrumenti del diciassette marzo mille dugento trentasei e del nove marzo mille dugento trentotto, che sono cuciti nel volume sovra riferito delle pergamene; sia perché nella mentovata donazione del supposto anno mille trentasette accennandosi, com’era stile dé Notaj fin verso la metà del passato secolo; il Podestà del Comune, si nomina come tale Zucconi degli Agnelli; Podestà che viene anche menzionato nel suddetto instrumento del diciassette marzo mille dugento trentasei; e sia perché con l’instrumento del cinque marzo mille dugento ottantasei Boneta Cazulo figlia del Notajo Uberto fa una donazione all’Ospedale della Carità. Invece a dunque del mille trentasette vuolsi leggere mille dugento trentasette, che l’amanuense avrà ritenuto una parola nella penna. Ma dovendo qui parlare degli istitutori dell’Ospedale della Carità, ne risulterà chiaro che questo venisse fondato nel tempo che io dissi. Chi attentamente ricerca le pergamene del Pio Luogo si persuade di leggere che esso venne istituito dai frati, che primamente lo governavano: erano dessi dell’ordine degli Umiliati, ordine stato poi disciolto dal pontefice Pio Quinto dietro l’assassinio tentato in una chiesa sulla persona di San Carlo Borromeo dal frate umiliato Girolamo Donato detto il Farina. Quando qué monaci diedero origine all’Ospedale erano pur allora istituiti. E perché fanno la prima parte della sua storia amo dire della istituzione loro, secondo che ne scrive Tristano Calco. Enrico secondo, appena incoronato imperatore nel mille quattordici, papa Benedetto ottavo confinò in Germania molti Milanesi e Comaschi; colpa l’aver essi tenuto per Arduino suo nemico. Dopo qualche anno d’esilio (antico pane degli Italiani) qué Lombardi si posero a correggersi né costumi, a sprezzare le ricchezze ad amare il lavoro, a guadagnarsi il vitto con lanificio, a tenere discorsi di religione e di continenza, a vestir tutti un abito cinerizio ed a fare tutte quelle altre pie cose che loro suggeriva il cuore educato dalla sventura in tempi di grande apparenza religiosa, Enrico, osservatili attentamente, cessò ogni sospetto d’impostura, e li restituì alla loro patria, dove molti concittadini li imitarono, e furono del consorzio, finchè, grossi di numero si diedero un capo, stabilirono il luogo del consiglio, che chiamarono convento, sicché furono detti i frati del convento, e talora i Berettani in grazia del grande cappello che usarono esuli, in fine gli umiliati per aver essi allontanato da sé ogni sorta di orgoglio e di vanità. Radunatasi per tal modo in una vasta famiglia, vestirono bianche tonache, abbandonarono il congresso della donna e si posero nell’ordine di S. Benedetto. Sulla fine del secolo decimoterzo il Cardinale Pier Pietrogrosso milanese, fece dal papa condurre gli Umiliati dal rito ambrosiano al romano.
Siccome alcuni poi li dimostrano istituiti l’anno mille cento settanta (e così qualche tempo dopo di certi acquisti di poderi che l’Ospedale faceva) parrebbe impossibile che questo avesse sortito l’origine da qué monaci; ma Tristano Calco ne avverte l’errore, dicendo che a coloro i quali segnarono quella diversa data di instituzione si oppongono apertamente le pergamene dé Pontefici, che dimostrano istituiti gli umiliati qualche anni prima de tempi di Federico Barbarossa. Ma torno a discorrere dello Spedale. Qué monaci dapprima non costrussero né istituirono uno spedale, e nemmeno avvertirono forse che egli né mettevano le fondamenta: non eressero altro che un cenobio per loro; e nell’intendimento di praticarvi l’opera evangelica si diedero a tirarvi ad albergo i poveri ed i pellegrini come nel medioevo usavano quasi tutte le case monastiche; che di quei tempi e lunga pezza dopo, qualunque persona si fosse mostrata col sanrocchino in spalla e col bordone in mano era sempre l’uomo del Signore: sicché l’Ospedale che privasi nel monastero non erano parte principale, o distinta, ma bensì una sua ramificazione, una sua dipendenza. Da questo deriva che il ministro di quei frati era altresì fin verso la fine del mille quattrocento il ministro dell’Ospedale. I nostri concittadini, e per indole dei tempi tanto favorevoli a monaci, e per commiserazione dé poveri che da quelli si sostentavano, ogni tratto facevano donazioni e lasciti ai frati ed alla casa della carità, concorrendo per tal maniera a piantare il grande Ospedale che fu poscia. Ed io non so riprovare la somma loro devozione a monaci di quel tempo perciò che qui rifletto.
Né secoli di mezzo i monaci, malgrado certi loro scandali che passano pressoché inosservati per la licenza generale de tempi e pel prestigio della coccolla, erano i benefattori del pubblico: essi coltivavano la terra, siccome tra gli altri usarono i Basiliani ed i Benedettini nonché i monaci di Chiaravalle inventori delle marcide; curavano gli ammalati dietro l’esempio primamente dato nel quarto secolo dagli Esseni che per questo furono chiamati Tserapeuti, ottenevano al popolo il perdono e la mitezza di barbari feudatari; tramandavano copiando gli antichi scrittori ed insegnando a leggere la dottrina, che era privilegio esclusivamente degli ecclesiasti.
Egli era appunto per essere stati in origine una sola istituzione il cenobio e l’Ospedale, che la pia casa di qué frati che li governavano veniva chiamata la casa dei frati e dei poveri della Carità, la casa dei frati e dell’Ospedale della Carità e poscia la casa dell’Ospedale della Carità e di S. Michele.
nel mille dugento novantotto erano quindici i frati dell’Ospedale della Carità: essi avevano due ministri, i sindaci ed i decani. Avevano anche i conversi, i quali come scrive Bianchi Giovanni erano uomini maturi che dalla vita laica si convertirono alla claustrale, e che perseverando nella vita claustrale venivano consacrati, vestiti da novizii provati un anno, dopo di ché facevano la professione dé voti.
Essi vendevano, compravano i poderi di commissione della casa dei frati e dell’Ospedale, e la rappresentavano nelle conversioni di altri affari, riscuotendo e pagandone il prezzo.
Nella stessa casa abitavano anche le suore umiliate, delle quali si avevano nella sola Novara ben dieci monasteri. Egli e poi chiaro, che le umiliate dell’Ospedale amministrassero insieme ai frati questo pio ricovero e vivessero di un solo peculio comune, giacché in certi più gravi casi di amministrazione la ministra delle suore umiliate e queste eziandio erano sentite e volute presenti per le decisioni, e giacché nella vestizione fatta nel mille trecento trentasette di certa Caterina Zuccalla vedova di Guglielmo Manno il ministro la riceve a monaca Umiliata, le promette vitto di pane e acqua come avevano le altre suore, e vestito bianco giusta le regole dell’Ospedale.
Primamente e fino al mille cinquecento circa, lo Spedale della Carità quasi non ricoverava gli ammalati, poiché non era istituito per loro: a questi erano aperte altre pie case, altri cenobi, stati poscia aggregati a quello della Carità, come vedrassi più avanti; ed il nostro Spedale accolse di sistema gli infermi per volontà espressa da Sisto Quarto nella bolla del dodici novembre mille quattrocento ottantadue, della quale occorrerà di parlare altre volte, e così per mantenere l’istituzione delle pie case che con quella bolla gli furono aggregate. Che anzi per quella facile piega di seguire le antiche consuetudini, che si ha troppo spesso, erasi ben presto intralasciato di accogliervi gli ammalati; ma nel principio del mille seicento, e per cura del venerabile vescovo Bescapé, fu aperto un’altra volta l’Ospedale della Carità agli infermi.
L’Ospedale era istituito soltanto per sostentarvi i poveri e i pellegrini; di costoro sempre si fa cenno nelle antiche pergamene, ma di ammalati giammai e del mille seicento venticinque, allorché questi vi trovarono più largo ricovero, vi si mantenevano tuttavia i poveri benché sani, essendo che in una supplica sporta dal pio istituto per ottenere certi privilegi del sale si narra come in quell’anno tra infermi, poveri, trovatelli e serventi l’Ospedale contasse cento persone.
Io non so poi come il Bescapè abbia potuto scrivere che l’Ospedale della Carità fu istituito soltanto per i trovatelli. In tante antichissime pergamene dell’Ospedale dè secoli duodecimo, decimoterzo decimoquarto, nelle quali si tratta sovente delle sorta di poveri che vi si albergavano, verun cenno se ne rinviene. Egli nella mentovata bolla di Sisto Quarto del dodici novembre mille quattrocento ottantadue, che per la prima volta trovasi una memoria de trovatelli dell’Ospedale della Carità raccomandandosi a questo di pigliarsene cura. Penso anzi, che prima di quella bolla non se ne ricoverassero per sistema, ma bensì per la considerazione che i trovatelli cadevano nella classe de poveri. Fu soltanto dopo la mentovata bolla che l’Ospedale se ne diede speciale pensiero; ed egli e dall’ora che si comincia a trovare brevi di pontefici e lettere de vescovi della diocesi concernenti l’ospizio de trovatelli. La bolla del tre di ottobre mille quattrocento ottantasei del pontefice Innocenzo Ottavo con la quale vengono accordate certe grazie spirituali a coloro che si daranno pensiero del benessere de trovatelli, e si accenna alla costruzione ed all’ingrandimento di caseggiato che volevasi fare il più acconcio ricetto de medesimi, de pellegrini e degli infermi, e un altro argomento per credere che si cominciava allora ad istituire un apposito asilo a quegli infelici bambini.
E per non tacere del sito in cui fu primamente costrutta la casa della Carità, essa lo era nel sobborgo di Sant’Agabio, che allora chiamasi corte nuova e borgo maschio.
La casa della Carità aveva due chiesette una delle quali era sacra a San Michele fino dal mille cento trentatré: dell’altra nulla di certo si conosce. Nel secolo decimoquarto la chiesa di San Michele aveva una prevostura e sette canonicati, che in origine furono istituiti nella chiesa di Santa Maria di Sillavengo l’anno mille trecento trentatré da Pietro Cattaneo prevosto di San Gaudenzio e vicario generale di Ugoccione nostro vescovo, e furono poscia uniti all’Ospedale di San Michele della Carità il dodici di maggio dell’anno mille cinquecento otto con bolla di papa Giulio Secondo. Dal quell’ anno questa prevostura e quei canonicati lasciato il titolo di Santa Maria, pigliarono l’altro di San Michele; ed i sacerdoti che ne godevano le rendite tenevano la cura spirituale de poveri che erano nello Spedale ricoverati. De quali canonicati, o per ingiuria de tempi, o perché coloro che ne fruirono si facessero poca coscienza delle usurpazioni, come spiegasi il Bescapé, altro non rimase che poca rendita da istituire un parroco della chiesa dell’Ospedale a San Michele che avesse altresì la cura spirituale de poveri del pio istituto. E l’erezione parrocchiale fu bensì fatta dal vescovo Bescapé nell’anno mille seicento tre, ma per alcuni contrasti della famiglia Cattaneo venne subito annullata.
Istituita la casa della Carità, era mestiere darsi pensiero del come si mantenesse in piedi per i tempi avvenire, e formarle quindi un patrimonio fisso non dovendole sempre essere sicuro e sufficiente l’ovolo che gli umiliati limosinavano per essa e che i cittadini le donavano: e perciò con quel poco peculio che la provvidenza le metteva innanzi faceva i suoi primi acquisti di prati, vigne e poderi arabili fino dal mille cento ne sobborghi di Sant’Agabio e di San Stefano e nel territorio di Gradesio, ora chiamato dell’inglesa e nel mille dugento in zottico e marangana; nella quale ultima terra i frati della Carità coltivandone i solchi trovarono il tesoro.