Cenno Storico
Dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara
Capo Due
Antica Ingerenza del Consiglio Civico e de Vescovi della diocesi
nell’Ospedale Maggiore della Carità
Cenno Storico
Dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara
Capo Due
Antica Ingerenza del Consiglio Civico e de Vescovi della diocesi
nell’Ospedale Maggiore della Carità
Perché il Consiglio Civico di Novara elegge da tempi antichi gli amministratori dell’Ospedale della carità e ne vede i conti,opinatasi comunemente che il municipio lo avesse fondato e mantenuto, e che quindi patrono ne fosse; ma siccome in siffatta opinione v’ha nulla più che una vaga credulità simile alla falsa tradizione della vecchierelle,che fa fondatore di quel pio instituto uno spazzacamino, così veruna testimonianza se ne può rinvenire da mettere innanzi.
Da ogni vecchio foglio in cui si trova una qualche ingerenza del municipio nell’ospedale null’altro si ravvisa che l’antico suo diritto (sovente chiamato soltanto consuetudine dallo stesso Civico Consiglio) di eleggere gli amministratori del Pio istituto e di vederne i conti dell’avuta gestione. Così del Mille quattrocento ventisette il Consiglio Civico elesse ministro dell’Ospedale frate Guidottino Caccia secondo l’antica consuetudine, benché prima di quell’anno non trovasi nell’archivio memoria di altre siffatte elezioni; e il Duca di Milano informa il Consiglio Civico di essersi diretto al papa per l’elezione di quel ministro, constando ad esso Duca che il diritto di eleggerlo spetta al Consiglio Civico. Ed in parecchie altre elezioni degli amministratori dell’Ospedale state fatte né secoli successivi dal Consiglio Civico questo si esprime colle solite parole, spettargliene l’elezione giusta l’antica consuetudine. Donde poi avesse avuto origine la consuetudine del Consiglio Civico di eleggere gli amministratori dell’Ospedale della Carità e di vederne i conti può essere benissimo dalla ragione che reggendosi il Comune a sovranità propria nel secolo undecimo, avrà assunto da sé come autorità politica, la tutela delle instituzioni pie del suo distretto. Di fatto, come osserverassi a luogo, fu bene il Consiglio Civico che pregò ed ottenne da Sisto IV. L’aggregazione degli altri spedali di Novara a quello della carità.
Seguì poi la bolla più volte mentovata di quel Pontefice, la quale confermò al Consiglio Civico il diritto della elezione e della veduta dè conti, era troppo intiero.
Del resto i vescovi avevano anch’essi una ingerenza antichissima nell’Ospedale della Carità, forse perchè istituzione e casa monastica la facevano da padroni dicendola eziandio soggetta a loro. Egli si recarono per vari secoli a fare la veduta della cassa dell’Ospedale, ad esaminare i registri delle rendite, a chiarirsi delle sue vicende,a stimolarne gli amministratori perché ne curassero meglio le ragioni, ne sollecitassero il conseguimento degli averi, le decisioni delle liti, governassero si gli ammalati ed i trovatelli, e tante altre cose facessero, quante ne venivano ordinate.
Chi vede adunque il diritto del Consiglio Civico dopo tanta ingerenza de vescovi?. E’ facile il conoscere come i Vescovi avessero potuto da principio siffattamente ingerirsi nell’Amministrazione dell’Ospedale, e come per tanto tempo fossero lasciati fare senza che il Consiglio Civico si lagnasse di vedere per tal modo usurpata la sua autorità. Negli antichi secoli e segnatamente negli anteriori al decimoterzo i vescovi erano grandemente venerati e temuti; ed in assai bisogne le repubbliche stesse si affidavano alla loro forte autorità, devotissime altresì ad essi perché dai medesimi riconoscevano il fondamento della giurisdizione civile e criminale. Le città obbedivano alle leggi de vescovi come se le avesse promulgate il più potente sovrano; e nel secolo undecimo, scrive il Denina, Milano obbediva quasi che in tutto agli Arcivescovi, i quali ancora la facevano più da principi che da metropolitani sopra le minori città circostanti, e chiunque leggerà le storie di questi tempi scorgerà subitamente qual parte abbiano avuto nelle rivoluzioni della Lombardia sul principio e nella metà del secolo undecimo Arnolfo ed Eriberto Arcivescovi Milanesi. Le scomuniche poi, delle quali i Vescovi facevano un vero scialacquo, erano temutissime in què tempi di mostruosa intarsiatura di barbarie e di religione, che i più forti feudatari si piegavano alla voce di un monaco e sovente gittavano lo stiletto, se la vittima si fosse dichiarata in peccato mortale. Infine i favori e le ricche donazioni, di cui erano larghi i principi verso dè Vescovi, accresceva la possanza di costoro e vieppiù ossequente facevano alla mitra il popolo. Ma da chè i governi portarono più vanti i confini della loro podestà politica, venne poco a poco a restringersi quella de Vescovi in si angusta cerchia, che microscopica si rese, se non invisibile del tutto.
Aggregazioni di altri Spedali a quello della Carità
Giovanni Visconti Vescovo di Novara aveva già unito all’Ospedale della Carità fin dal giorno quindici del gennajo mille trecentotrentacinque l’Ospedale ordinato istituirsi in Vigevano (allora borgo compreso nella diocesi di Novara) da Carlo Morselli, e i poderi che questi gli aveva assegnato, perché non si pensava ad effettuarne l’istituzione, ma più presto ad usurparne gli averi. E Sisto Quarto colla bolla del dodici di novembre mille quattrocentottantadue aggregò all’Ospedale della Carità gli altri Spedali di Novara, che Bona e Giovanni Galeazzo Maria Sforza avendoli già aggregati l’anno mille quattrocentosettantanove.
Allora l’Ospedale della Carità esci di mano ai frati, separossi a tutto dal loro cenobio e prese ad esistere da se. Cresciuto per tal modo negli averi, l’ospedale si trovò in grado di allargare meglio la sua beneficenza, imperochè prima che gli fossero aggregati gli altri Spedali esso non aveva d’entrata più di ottocento fiorini d’oro di camera . Ciò non per tanto continuatasi la questua in suo profitto; uso che, introdottosi dai frati quando l’Ospedale era una sola cosa col loro cenobio, durò almeno fin verso la metà del secolo decimosettimo, poiché l’amministrazione dell’Ospedale con instrumento dell’undici, marzo mille seicentosedici deputava tuttavia una persona che limosinasse nelle terre del novarese a vantaggio del Pio istituto. Fu il Consiglio Civico che fece a Sisto Quarto la savia instanza dell’aggregazione per mezzo de nostri concittadini Stefano Caccia Canonico vercellese, redattore delle lettere apostoliche ed Ardicino Della Porta vescovo di Aleria in Corsica, poscia cardinale, i quali risiedevano in Roma: ed una volta aggregati gli altri Spedali, intendevasi di riedificare quello della Carità in Novara, o nè sobborghi, sotto il titolo della Concezione della Vergine,
onde con maggior agio vi si ricoverassero e sostentassero i poveri.
E poco dopo l’aggregazione, venne di fatto ricostruito l’Ospedale nello stesso sobborgo di s. Agabio,come si rileva dalla bolla di Innocenzo Ottavo,già citata, conservatogli però l’antico suo nome di S. Michele.
Gli Spedali che Sisto Quarto unì a quello della Carità si chiamavano di S. Antonio, di santa Maria Nova, di San Bartolomeo, di san Gottardo, di san Colombano, di san Dionigi e di san Giuliano, piuttosto case di frati che Spedali propriamente detti, o Spedali istituiti da frati ed in esse case sostenuti colla carità de cittadini. Scriverò qui tutto quel poco di storia che di quegli Spedali aggregati mi venne fatto di raccogliere.
Spedale di Sant’ Antonio
L’Ospedale di Sant’ Antonio, che chimavasi anche di Sant’ Antonino, era nel sobborgo di San Gaudenzio, oggi detto di San Martino, fu fondato coi beni di Giovannino De Nicolò. Un determinato numero di cittadini, secondo la fondazione, come dice la bolla di Sisto Quarto, aveva il governo. Dietro questa aggregazione la chiesa di San Michele dell’Ospedale della Carità festeggia tuttavia il giorno di Sant’Antonio, ed il parroco da la benedizione ai cavalli per continuare forse l’usanza che avesse avuto quella pia casa prima dell’aggregazione.
Spedale di Santa Maria Nova
L’Ospedale di Santa Maria Nova era in Novara, nella contrada di passafango, presso la casa dei frati detti dell’elemosina di Santa Maria Nova. Fu fondato da Giacomino Ferrando Marciavolo, cittadino novarese, dietro il permesso ottenuto dal vescovo il di primo dell’agosto mille trecento quarantasette. Lo governavano i frati conjugati del terzo ordine di San Francesco. Siccome leggesi nel Bescapè, che il vescovo Ugoccione fece dell’elemosina di Santa Maria Nova un legato di lire cento nel mille trecento venti, e così prima della mentovata fondazione di quell’Ospedale, conviene avvertire, che non si deve confondere quest’ultimo colla elemosina, o cenobio, che già esisteva e che, per la vicinanza ed anche pel governo che i frati di Santa Maria Nova avevano del medesimo spedale, impose allo stesso il proprio nome.
Le rendite di quell’ospedale a più di venti fiorini d’oro di camera.
Spedale di San Bartolomeo
L’Ospedale di San Bartolomeo che chiamatasi altare di San Bartolomeo, era fuori di città in Borgo San Gaudenzio. Da monaci di Santa Maria di Vallombrosa che circa l’anno mille centoventiquattro vennero a Novara, o forse meglio dal vescovo Litifredo, si fondarono in quel torno la chiesa ed il monastero di San Bartolomeo, e quindi, come dall’uso degli antichi monaci, si può supporre, forse anche lo stesso Spedale.
La sua rendita non passava i quaranta fiorini d’oro di camera. Dopo l’aggregazione, rimasta in piedi la casetta che aveva servito al ricovero de poveri, i confratelli della consorteria dello Spirito Santo, se stiamo
al Bescapè, vi rinnovarono talora un po’ di Spedale di malati, ma non era già che quei confratelli tentassero di ripristinarlo od operassero per disposizione propria: essi ebbero in enfiteusi dall’Ospedale della Carità nell’anno mille cinquecentocinque la casa ch’era stata Spedale di San Bartolomeo coll’orto annessovi, e perché il primo non potesse forse ancora ricoverare nel troppo angusto suo recinto il maggior numero di infelici che per l’aggregazione vi affluivano fu concordato che quei confratelli invece della prestazione dell’annuo canone vi mantenessero in perpetuo quattro letti per alloggiarvi i poveri ed i pellegrini, e vi ospitassero què poveri e pellegrini che vi fossero accorsi.